Cassazione penale n. 25980 del 4 maggio 2018 (depositata il 7 giugno 2018) – In tema di responsabilità da reato degli enti collettivi il profitto del reato oggetto della confisca si identifica con il vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato presupposto ma, nel caso in cui questo venga consumato nell’ambito di un rapporto sinallagmatico, non può essere considerato tale anche l’utilità eventualmente conseguita dal danneggiato in ragione dell’esecuzione da parte dell’ente delle prestazioni che il contratto gli impone.

Con la sentenza n. 25980 la seconda sezione penale della Corte di Cassazione si pronuncia sul ricorso avverso un’ordinanza del Tribunale del Riesame di Genova che  rigettava l’istanza ex art. 324 c.p.p., proposta nell’interesse della società ricorrente avverso il decreto del Gip che aveva precedentemente disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca ex art. 19 cc. 1 e 2 D.Lgs. n. 231 del 2001, di beni fungibili, ovvero in subordine e per equivalente, di beni di natura diversa intestati o nella disponibilità della stessa per una somma corrispondente al valore del profitto tratto dall’illecito contestato alla società. I giudici della seconda sezione penale hanno colto l’occasione per  ribadire i principi di diritto più volte espressi nella storia della giurisprudenza della Suprema Corte e racchiusi, in particolare, nella pronuncia a Sezioni Unite Fisia-Italimpianti che, partendo dalla distinzione tra i reati contratto e reati in contratto, prevede solo nel primo caso la confiscabilità integrale del profitto. Nell’ipotesi, infatti, dei cosiddetti “reati in contratto”, a mente dei giudici della Corte, il vantaggio economico di diretta derivazione dal reato deve essere determinato al netto dell’effettiva utilità eventualmente conseguita dal danneggiato. Il collegio della seconda sezione penale ha accolto il ricorso presentatogli ritenendo di trovarsi dinnanzi ad un’ipotesi di reato in contratto per la quale, pertanto, doveva trovare applicazione il criterio dell’utile netto ai fini dell’individuazione del profitto confiscabile.

Secondo i principi di diritto sopra richiamati, in tema di responsabilità da reato degli enti collettivi, il profitto del reato oggetto della confisca di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 19, si identifica con il vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato presupposto ma, nel caso in cui questo venga consumato nell’ambito di un rapporto sinallagmatico “non può essere considerato tale anche l’utilità eventualmente conseguita dal danneggiato in ragione dell’esecuzione da parte dell’ente delle prestazioni che il contratto gli impone”. Pertanto, ai fini del corretto inquadramento della fattispecie nelle categorie di riferimento evocate dalla giurisprudenza, è necessario comprendere l’incidenza dell’ “artifizio e raggiro” nella fase genetica della procedura d’ammissione alle agevolazioni economiche ovvero nella fase esecutiva.

Alla luce di quanto appena riportato, nel caso in cui il reato presupposto sia riconducibile ad un’ipotesi di cd. reato in contratto, la Suprema Corte ha affermato che “il profitto confiscabile ex art. 19  D.Lgs. n. 231 del 2001 deve essere determinato da un lato, assoggettando ad ablazione i vantaggi di natura economico-patrimoniale costituenti diretta derivazione causale dell’illecito così da aver riguardo esclusivamente dell’effettivo incremento del patrimonio dell’ente conseguito attraverso l’agire illegale e, dall’altro, escludendo i proventi eventualmente conseguiti per effetto di prestazioni lecite effettivamente svolte in favore del contraente nell’ambito del rapporto sinallagmatico, pari alla utilitas di cui si sia giovata la controparte”.

Sentenza della Cassazione penale del 4 maggio 2018 n. 25980

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